Manuali
Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267
Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa
Disciplina del fallimento e delle procedure concorsuali
TITOLO I
DISPOSIZIONI GENERALI
Articolo 1
Imprese soggette al fallimento e al concordato preventivo
Sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano una attività commerciale, esclusi gli enti pubblici. Non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori di cui al primo comma, i quali dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti:
a) aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento o dall’inizio dell'attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila;
b) aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila;
c) avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila.
I limiti di cui alle lettere a), b) e c) del secondo comma possono essere aggiornati ogni tre anni con decreto del Ministro della giustizia, sulla base della media delle variazioni degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati intervenute nel periodo di riferimento.
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Commento
La Legge 20 ottobre 1952, n. 1375 ha disposto (con l'articolo unico) che “I limiti di lire 30.000, 10.000 e 50.000, previsti rispettivamente dagli articoli 1, comma secondo; 35, comma secondo; e 155 della “disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa”, approvata con regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, sono elevati il primo a lire 900.000, il secondo a lire 200.000 ed il terzo a lire 1.500.000.”.
La Corte Costituzionale, con sentenza 13 - 22 dicembre 1989 n. 570 (in G.U. 1a s.s. 27/12/1989 n. 52), ha dichiarato “la illegittimità costituzionale dell'art. 1, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), come modificato dall'articolo unico della legge 20 ottobre 1952, n. 1375, nella parte in cui prevede che “quando è mancato l’accertamento ai fini dell’imposta di ricchezza mobile, sono considerati piccoli imprenditori gli imprenditori esercenti un’attività commerciale nella cui azienda risulta investito un capitale non superiore a lire novecentomila.”.
Il Decreto Legislativo 12 settembre 2007, n. 169 ha disposto (con l’art. 22, comma 2) che “Le disposizioni del presente decreto si applicano ai procedimenti per dichiarazione di fallimento pendenti alla data della sua entrata in vigore, nonché alle procedure concorsuali e di concordato fallimentare aperte successivamente alla sua entrata in vigore.”.
L’articolo 1 non fa più alcun riferimento al piccolo imprenditore e prevede soglie di fallibilità molto alte, escludendo oggi dalle procedure concorsuali imprenditori che, fino al 2006-2007, vi sarebbero stati sottoposti.
La modifica dell’art. 1 ha determinato immediate conseguenze applicative sui procedimenti penali pendenti per reati di bancarotta al momento dell’entrata in vigore del Decreto Legislativo 9 gennaio 2006, n. 5. Infatti, avendo la novellata struttura di tale norma, esteso la portata ai procedimenti penali per bancarotta pendenti al momento dell’entrata in vigore del Decreto Legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, ha reso necessario l’intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione penale che, con sentenza 28 febbraio 2008-15 maggio 2008, n. 16601, ha risolto un contrasto giurisprudenziale relativo all’applicabilità dell’art. 2 del Codice penale in materia di successione di leggi penali nel tempo. Le Sezioni Unite hanno dovuto cioè interpretare la norma nel senso di definire la posizione nella quale si era venuto a trovare l’imprenditore imputato di reati di bancarotta, ma dichiarato fallito sulla base di norme che erano venute meno con la riforma del Decreto Legislativo 9 gennaio 2006, n. 5.
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